Tigelle o crescentine? Un inghippo linguistico

C’è infatti un po’ di ‘confusione linguistica’ per quanto riguarda il mondo delle tigelle. La ‘tigella’ è infatti il nome dello strumento che si utilizzava tradizionalmente per preparare questo panificato. Si tratta di un piatto, un disco di terracotta, spesso decorato da un’incisione floreale o addirittura dallo stemma familiare, su cui veniva posta una foglia di castagno o di noce, che aromatizzava e fungeva da antiaderente. Si metteva su questo disco – già arroventato – l’impasto crudo, e si sovrapponeva un’altra tigella con impasto, fino a comporre una pila che si metteva a cuocere nel caminetto, cambiando di tanto in tanto l’ordine degli strati per garantire una cottura uniforme.

Dunque, per essere chiari la crescentina si cuoce nella tigella, ma nel tempo il nome dell’utensile si è sovrapposto a quello dell’alimento. Dal punto di vista geografico possiamo dire che nel modenese si preferisce dire crescentina, mentre nel bolognese è più usato il termine tigella. A complicare la faccenda, il fatto che a Bologna la crescentina sia un altro tipo di alimento, uno strettissimo parente dello gnocco fritto. Insomma, a seconda di dove ci si trova in Emilia occorre sapere come chiamare questa focaccina per non rischiare di ritrovarsi servito un altro piatto.
qui potete acquistare una tigelliera in alluminio a sette posti, ognuno dei quali decorato con incisione a fiore, per imprimere alle crescentine un disegno decorativo come da tradizione.

In ogni caso, le tigelle o crescentine vengono mangiate calde, solitamente ripiene di salumi e formaggi che ben si sposano con il sapore neutro dell’impasto. In particolare è tradizione imbottirle con la cosiddetta ‘cunza’, un pesto realizzato con battuto di lardo, aglio, rosmarino e Parmigiano Reggiano grattugiato. Ottimi anche gli abbinamenti con formaggi molli, come lo squaquerone o con la selvaggina e i sughi di cacciagione. Non mancano gli accostamenti ai sapori dolci, magari con creme di cioccolato spalmabili o confetture.